Todi La Città Più Vivibile Al Mondo

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Todi é una cittá medievale di una bellezza ed eleganza unica, sorge in cima ad una collina, ad una altezza di circa m. 400, a dominare l’incantevole valle del Tevere.

Un territorio ricco di arte, cultura, tradizioni e sapori ed è famosa come “la città più vivibile al mondo”, dopo che gli esiti di interessanti ricerche, effettuate  dal professor Richard S. Levine della U.S. Kentucky University, l’hanno riconosciuta tale. Molte testimonianze archeologiche collocano l’origine di Tutere, che in lingua etrusca significa confine, tra il V ed il III sec. a. C., è certo tuttavia un precedente insediamento di una comunità di stirpe umbra. Una leggenda narra che Todi sia sorta per volere degli stessi Umbri, infatti mentre erano già stati iniziati i lavori per la costruzione della città sulle rive del fiume, ecco che un’aquila arrivò mentre gli uomini stavano mangiando e portò via con gli artigli la tovaglia, trascinandola sul punto più alto del colle. Pensarono quindi che ciò fosse un segno celeste e costruirono così la città di Todi sul colle e l’aquila ne divenne il simbolo augurale. Gli Etruschi tra il III e il I secolo a.C costruirono la prima grande cerchia di mura che racchiude la città, allora sul confine dell’antico territorio Etrusco e l’aquila fu imprigionata nel breve spazio di una moneta di conio prima etrusco, poi romano. 

Si dice che anticamente fu costruita su due colli, corrispondenti ai luoghi occupati attualmente dal Tempio di San Fortunato e della Cattedrale, originariamente separati da una profonda vallata i cui sbocchi, orientale e occidentale, furono chiusi dai Romani con muraglie di travertino. Nell’89 a. C.  Todi diventa Municipio Romano, della civiltà romana rimangono ancora alcuni resti come le imponenti Cisterne Romane scoperte recentemente sotto la Piazza del Popolo. Fu allora che il nome della città si addolcì in Tuder, ma non si spense la fama di arditissimi guerrieri, di cui godevano i suoi abitanti. Essi infatti si distinsero durante la seconda guerra punica, nella battaglia del Ticino, sotto la guida dello sfortunato Scipione, e meritarono alla loro città l’appellativo di Fida. Todi si è sviluppata in tre epoche successive, ciascuna delle quali testimoniata da un cerchio di mura: il preromano, il romano e il medioevale. Il primo, che affiora ancora in alcuni punti della città, fu costruito con blocchi di travertino di grandi dimensioni, sovrapposti in file ordinate, e senza malta cementizia; l’ultimo, datato nelle cronache al 1244, in gran parte intatto con i suoi torrioni e le tre Porte: Romana, Amerina e Perugina, che ne delimitavano i tre borghi medioevali, si sviluppa per una lunghezza di km. 4.  Todi tra il V e il VI sec. subì i danni delle guerre greco-gotiche, seguite dalle invasioni longobarde, finché, tra il 759 ed il 760, re Desiderio e Papa Paolo I stabilirono i confini orientali tra il ducato di Spoleto e la contea todina, inclusa nel Ducato di Roma. Dopo il 1000, Todi ebbe regime feudale e signorile, fu governata dai consoli fino al 1201, poi dal podestà e, dal 1255, anche dal Capitano dal Popolo. In epoca rinascimentale riuscì a sollevarsi dalle conseguenze della peste del 1527, che aveva decimato più della metà della popolazione.

Con la riforma di Martino V entrò a far parte dello Stato della Chiesa, mantenne questo status fino al riassetto territoriale napoleonico, in seguito al quale divenne sede di un vastissimo circondario, che comprendeva anche Amelia ed Orvieto fino ad Acquapendente. Dopo l’Unità d’Italia molti dei luoghi che ne facevano parte ottennero l’autonomia da Todi, che vide così più limitato il suo territorio. La città inserita nel terzo cerchio di mura, ha una sup. di 23 ettari, e dalla metà del ’200. È divisa in sei rioni: Nidola, Colle,Valle, Santa Prassede, San Silvestro, Santa Maria in Camuccia. Nei secoli liberi e operosi del Comune fiorirono i più bei monumenti di Todi, quelli che le diedero una fisionomia inconfondibile, immune da alterazioni attraverso il tempo. Anche oggi la città quando raggiungiamo la piazza del Popolo, una delle più belle d’Italia, ci avvolge una suggestiva atmosfera medievale. La piazza, infatti, accoglie composte ed eleganti architetture del secolo XIII e XIV: il Palazzo dei Priori, il Palazzo del Capitano  il Palazzo del Popolo. In fondo, alto su una gradinata, il Duomo raccoglie l’ampio respiro della piazza.

Il Palazzo dei Priori

Iniziato nel 1293, ma ingrandito e compiuto nel 1334/37, ha una solida sobrietà di linea che neppure le finestre rinascimentali, in netto contrasto con lo stile dell’edificio, riescono a rovinare. Quelle finestre, invero belle per se stesse, furono un capriccio di Papa Leone X nel 1513. In alto e verso sinistra è collocato un bronzo di Giovanni di Gigliaccio del 1339 raffigurante l’Aquila di Todi. La torre, a base trapezoidale, fu eretta fra il 1369 ed il 1385.

I Palazzi del Popolo e del Capitano

Il Palazzo del Popolo detto anche del Comune, del 1213, è tra i più antichi palazzi pubblici italiani. Iniziato in stile lombardo, probabilmente come sede del podestà, ha una mole poderosa, ma slanciata, per il mirabile equilibrio delle dimensioni. Questa gran massa di pietra, alleggerita da due file di trifore gotiche molto distanziate fra loro, si corona superbamente di una merlatura ghibellina, aggiunta con i restauri eseguiti a cavallo tra Otto e Novecento. Ha in comune con il vicino Palazzo del Capitano la scalinata d’accesso alle sale, e sottolinea, con la sua austerità l’eleganza del tardo gotico di quest’ultimo edificio.

 

Il Palazzo del Capitano costruito nel 1293, ha una armoniosa facciata in stile gotico. Al primo piano si trova la sala del Capitano del popolo con avanzi di affreschi dl XIV secolo, fronteggiata dal Salone del Consiglio generale, dove è stato allestito il Lapidario con materiali romani. All’ultimo piano dei due palazzi trovano sede la Pinacoteca e il Museo della Città dove sono custodite opere di notevole valore. il progetto espositivo del Museo della Città è teso a valorizzare la storia della città e del suo territorio. In questo settore si sono volute ripercorrere le vicende di Todi attraverso la presentazione di materiali e oggetti disposti in successione temporale che ne illustrano alcuni momenti di particolare importanza, a partire dalle origine leggendarie fino al periodo rinascimentale, i cui temi sono: l’aquila e la leggenda delle origini, Todi preromana, Todi romana, i Santi protettori, la città medioevale, la nobiltà, la Controriforma, il Risorgimento. Seguono cinque sezioni tipologiche: archeologica, numismatica, tessuti, ceramiche e pinacoteca, che nei loro ambiti specifici offrono la possibilità di approfondire alcune tematiche significative per le vicende storiche ed artistiche della città. Il primo settore della Pinacoteca è dedicato alla presenza in Todi di Giovanni di Pietro (1450 – 1528), detto lo Spagna, discepolo del Perugino, testimoniata dalla imponente pala con “L’incoronazione di Maria, coro d’angeli e santi” commissionata per l’altare maggiore della cattedrale. Un’intera sezione è occupata dalle opere del romagnolo Ferraù Fenzoni detto il Faenzone (1562 – 1645), artista di grande fama, noto per aver lavorato a Roma su commissione di papa Sisto V e chiamato a Todi per decorare il Palazzo Vescovile e la Cattedrale.

Il Duomo

La concattedrale, intitolata a Maria SS.Annunziata, fu iniziata verso il principio del secolo XII da maestri Comacini e completata nel XIV, ben poco conserva della struttura originaria per i restauri successivi prolungatisi fino al secolo XVI. La facciata, alla quale si accede salendo i 29 gradini in travertino della scalinata, a tre portali, è impreziosita da altrettanti rosoni, dei quali, quello centrale, cinquecentesco, attrae maggiormente la nostra attenzione per la sua pregevolezza. L’interno, a tre navate, ha l’austerità delle chiese romaniche, ma anche qui non manca il tocco prezioso che ci è offerto dal Coro, opera insigne degli intagliatori rinascimentali Antonio e Sebastiano Bencivegna da Mercatello, autori anche del notevole portone di legno di quercia da loro scolpito nei quattro pannelli superiori, mentre nei sei inferiori da Carlo Lorenti, per la sostituzione di quelli danneggiati. Notevole nella controfacciata l’affresco del Faenzone, opera eseguita nel 1596, raffigurante il “Il giudizio universale”.

La Chiesa di San Fortunato

Poco lontano dalla piazza sorge la chiesa di San Fortunato, patrono della città, santo protettore e vescovo venuto da Poitiers, pastore dal 528 al 541. San Gregorio Magno nei Dialoghi narra della sua vita e del miracolo che egli operò sulla piazza grande al tempo del passaggio delle truppe Gote. Un loro generale aveva preso in ostaggio, secondo il costume del tempo, numerosi giovani e giovinette e con loro al seguito si dirigeva verso la porta ravennate quando cadde da cavallo rompendosi la gamba. Fortunato lo risanò ottenendone in cambio la liberazione dei prigionieri. Da quel momento il popolo lo assunse come protettore della città. Iniziato nel 1292, l’edificio fu completato nella seconda metà del ’400, epoca a cui appartiene la facciata incompleta, dal ricco portale tardogotico. L’interno di impianto nordico” a sala”, è a navata unica divisa da pilastri con volte a ogiva. Nella quarta cappella a destra, si trova un affresco della Madonna col Bambino e Angeli di Mascolino da Panicale, dietro l’altare Maggiore un coro ligneo di Antonio Maffei del 1590 e, nella cripta, la tomba di Jacopone (1233 – 1306).

La Chiesa di Santa Maria della Consolazione

Ai piedi del colle, all’esterno delle mura duecentesche, sorge la chiesa di Santa Maria della Consolazione, iniziata nel 1508 e terminata un secolo dopo. Opera architettonica di importanza internazionale, è considerato uno degli edifici simbolo dell’architettura rinascimentale. E’ a pianta greca, cioè formata su quattro lati tutti di grandezza e lunghezza uguali. Todi, come tutte le città di antica tradizione, è piena di leggende e la stessa chiesa si dice fosse sorta per volontà di popolo quando si sparse per le strade la voce di un miracolo, operato da una immagine miracolosa che si trovava nelle piagge di San Giorgio, presso le porte di Santa Margherita e di San Giorgio. La leggenda narra che, una mattina del maggio 1508, un operaio era intento, su ordine dell’autorità cittadina, a liberare e ripulire l’affresco dipinto in un muro antico dai rovi e dagli sterpi che l’avevano coperto, con il fazzoletto che teneva in tasca puliva il volto della Madonna e di Gesù. Per asciugarsi la faccia dal sudore e un occhio semicieco dalle lagrime procurate dalla malattia, passò lo stesso fazzoletto sul suo volto.

All’istante l’occhio fu guarito. Da quel momento numerosi furono i miracoli che toccarono il popolo di Todi e poi su tutti quelli che accorrevano, copiosi come una benedizione. Il disegno è attribuito a Donato Bramante (1444 – 1514), ma non vi sono documenti che possano comprovare tale attribuzione, alcuni critici vogliono attribuirlo a Cola di Caprarola ed altri ad Antonio da Sangallo il Giovane. Ci vollero 100 anni per il compimento dell’opera che venne inaugurata nel 1607, ma i motivi di rifinitura ornamentali esterni ed interni durarono molti anni ancora. L’immensa cupola centrale e i quattro semicupoloni vennero coperti intorno alla metà del secolo XVI. Nel 1613 sul lato nord venne appoggiata una sacrestia che venne abbattuta a furor di popolo nel 1862, dopo l’Unità d’Italia, perché ritenuta troppo brutta rispetto alla solennità e alla purezza delle linee della chiesa, che si inserisce miracolosamente nel declivio della collina senza alterarne le linee.

Jacopone da Todi

Nato da Iacobello della nobile famiglia de’ Benedetti, Jacopone è uno dei più illustri cittadini di Todi, è stato un religioso e poeta italiano, venerato come beato dalla Chiesa cattolica. I critici lo considerano uno dei più importanti poeti italiani del Medioevo, certamente fra i più celebri autori di laudi religiose della letteratura italiana. Studiò legge e intraprese la professione di notaio e procuratore legale, conducendo una vita spensierata. Ma a 32 anni, dopo un episodio che lo toccò interiormente: la morte della moglie durante una festa dovuta al crollo del pavimento della stanza da ballo, si convertì dopo che sul corpo della moglie fu trovato un cilicio e cominciò a condurre una vita povera e monastica. Dell’opera letteraria di Jacopone si ricordano soprattutto le “Laudae” nelle quali egli esprime soprattutto il senso di distacco tra la condizione umana e la figura di Dio, componimenti di tema religioso che si rifanno al genere della lauda, assai diffuso in Umbria tra il XII secolo e il XV secolo e, questione controversa, lo “Stabat Mater” (dal latino per Stava la madre) una preghiera, più precisamente una sequenza, cattolica del XIII secolo.

Jacopone nel 1278 entrò come frate laico nell’ordine francescano, scegliendo la corrente rigoristica degli Spirituali, che si contrapponevano alla corrente predominante dei Conventuali, portatori di un’interpretazione più moderata della Regola francescana. Nel 1288 Jacopone si trasferì a Roma, probabilmente presso il Cardinale Bentivenga. All’inizio del breve pontificato di Celestino V, gli spirituali, anche per merito di Jacopone che aveva mandato al pontefice una lauda, furono ufficialmente riconosciuti come ordine con il nome di “Pauperes heremitae domini Celestini”. Ma il nuovo papa Bonifacio VIII, acerrimo nemico delle correnti più radicali della Chiesa, non appena eletto, abrogò le precedenti disposizioni e la congregazione dei Pauperes venne così sciolta. Jacopone fu tra i firmatari del Manifesto di Lunghezza del 10 maggio 1297, con cui gli avversari di Bonifacio VIII, capeggiati dai cardinali Jacopo e Pietro Colonna, appartenenti alla famiglia Colonna acerrima nemica dei Caetani cui apparteneva Bonifacio VIII, chiedevano la deposizione del papa e l’indizione di un concilio. La risposta di Bonifacio VIII non si fece attendere: scomunicò tutti i firmatari con la bolla “Lapis abscissus” e cinse d’assedio Palestrina, la roccaforte dei dissidenti. Nel settembre del 1298 Palestrina fu presa e Jacopone spogliato del saio, processato, condannato all’ergastolo e imprigionato nel carcere conventuale di san Fortunato a Todi. Solo alla morte di Bonifacio, nel 1303, fu liberato, vivendo poi gli ultimi anni a Collazzone di Todi, dove morì la notte di Natale del 1306, nell’ospizio dei Frati Minori annesso al convento delle Clarisse.

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